La vestizione di una salma, così come l’intero rito funebre, era un
atto d’amore a esclusivo appannaggio dei vivi. Ed era proprio in questo modo
che Iuri interpretava il suo lavoro, come un atto d’amore nei confronti di
quelli che restavano. (Reborn)
Questo breve passo tratto dal
romanzo esprime il pensiero di Iuri, ma credo contenga una verità
universalmente condivisibile. Il rito funebre, sin dalle sue origini, assume un
significato sociale e assolve alcune funzioni anch’esse di carattere sociale:
ufficializza e rende nota alla comunità la dipartita, crea le condizioni
affinché venga espressa solidarietà alla famiglia, dà luogo alla celebrazione
religiosa o etica dell’evento.
Comunque si svolga, il rito
funebre segna quel delicatissimo momento di passaggio che prelude
all’elaborazione del lutto.
Variegate sono le usanze che lo
accompagnano a seconda delle culture e delle aree geografiche di riferimento ma
anche in relazione al tempo poiché le tradizioni si evolvono o subiscono
mutamenti per adattarsi al progresso.
Nel breve passo che segue
fornirò una descrizione − basata essenzialmente sulla mia esperienza diretta −
di come si svolgono i riti funebri in Puglia (più nello specifico nelle piccole
comunità della provincia di Bari). È questo il modello a cui mi ispiro in
Reborn.
Oggi, molte delle vecchie
tradizioni si stanno perdendo per far fronte a esigenze di carattere pratico,
tuttavia nei piccoli paesi tendono a perdurare più che nelle grandi città.
Immaginate dunque di essere in un
paese pugliese come Gioia del Colle e di prendere parte a un funerale. Il rito
si svolge così:
Solitamente la camera ardente
viene allestita in casa del defunto. Viene scelta allo scopo la stanza più
grande, sgomberata e bardata a lutto.
Lungo le pareti vengono sistemati dei fondali
di colore scuro e vengono disposte delle sedie in circolo per ospitare coloro
che parteciperanno alla veglia, mentre al centro dell’ambiente viene
posizionata la bara, illuminata da ceri votivi posti a capo e a piedi.
Contemporaneamente viene apposto
un simbolo di lutto all’esterno dell’abitazione, in corrispondenza della porta
d’ingresso. Oggi si utilizzano delle coccarde in stoffa nere o viola, ma fino a
non molti anni fa vigeva l’usanza di appendere sull’uscio un pesante drappo
scuro.
Accanto all’ingresso viene posizionato anche un tavolino con un registro
affinché tutti coloro che vengono a visitare
il morto possano firmarlo lasciando un segno del loro passaggio.
Per l’occasione la porta di casa
rimane aperta e qualsiasi membro della comunità può entrare liberamente a
porgere il suo saluto.
La salma viene così vegliata per
un’intera notte. Di solito sono i cari più intimi coloro che rimangono a fare
la veglia fino all’alba, i parenti e gli amici che si accomiatano prima o che
non possono garantire la loro presenza, si premurano di inviare a chi resta
bevande o piccoli spuntini per alleviare la fatica della nottata insonne.
Il giorno seguente, poco prima
dell’orario stabilito per il funerale, arriva il prete (ovviamente solo se è
previsto il rito religioso) a dare la sua ultima benedizione. Segue un addetto
delle Pompe funebri per la chiusura della bara.
Il feretro viene condotto in
spalla fuori dall’abitazione, ove possibile da persone care al defunto, e da lì
trasportato in auto in chiesa o direttamente al cimitero. Una piccola banda
cittadina lo accompagna durante il breve tragitto a piedi.
Oggi i trasporti vengono tutti
effettuati con le automobili ma fino a non molti anni fa esisteva la
possibilità di optare per una carrozza trainata dai cavalli. Generalmente era
il mezzo più ambito poiché simboleggiava ricchezza o rispettabilità sociale.
Nel mio paese fino a una decina
circa di anni fa erano ancora in voga i funerali con le carrozze e vigeva
ancora l’usanza di accompagnare il defunto al cimitero in corteo.
Quattro cordoni erano posti ai
lati del carro funebre, ciascuna estremità veniva stretta da un parente
prossimo dello stesso sesso del defunto.
Subito dietro il carro seguivano
gli altri parenti intimi e a seguire quelli più lontani, fino ad arrivare agli
amici e ai conoscenti.
Il corteo attraversava l’intero
paese. Al suo passaggio, annunciato dalla banda che lo accompagnava lungo tutto
il tragitto, le finestre si spalancavano e i passanti si fermavano per calarsi
il cappello o farsi il segno di croce in segno di saluto.
A conclusione del rito i parenti
si riuniscono tutt’oggi per il “banchetto consolatorio”, un pasto che viene
consumato in onore del caro estinto ma il cui significato simbolico è quello di
riavvicinare coloro che restano al piacere della vita che continua.
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